L’ingegner Navone, nato a Busalla (GE) nel 1842 e morto a Genova nel 1919, è stato un ingegnere, uno storico e un politico italiano. Ha terminato gli studi presso la Scuola d'Applicazione per gli ingegneri laureati in Torino nel 1870 presentando un progetto di attraversamento ferroviario dello stretto di Messina mediante un tunnel sottomarino da realizzarsi tra Villa San Giovanni e Ganzirri. In seguito, cooperò al tracciamento della ferrovia lucana e al progetto della ferrovia Circumetnea. Progettò inoltre la cosiddetta succursale dei Giovi (linea veloce per Genova), alternativa alla vecchia linea di valico e sviluppata con numerosi ponti e gallerie, poi realizzata verso il 1880, e successivamente una nuova linea direttissima Milano-Genova (antesignana del terzo valico). È interessante leggere l’introduzione storica e le riflessioni contenute nella premessa del suo progetto di attraversamento sottomarino dello stretto di Messina del 1870.

Il progetto del ponte sullo Stretto di Messina da sempre ha rappresentato il simbolo della congiunzione materiale della Sicilia al Continente.
Il primo e sin ora unico ponte dello Stretto di Messina, seppure provvisorio, è stato realizzato, in base a quanto narra lo storico Strabone, per ordine del console romano Lucio Cecilio Metello nell’estate del 250 a.C., al fine di trasferire nel Continente 104 elefanti catturati dalle legioni romane ad Asdrubale nella battaglia di Palermo del 251 a.C..
Secondo Strabone, Lucio Cecilio Metello “radunate a Messina un gran numero di botti vuote le ha fatte disporre in linea sul mare legate a due a due in maniera che non potessero toccarsi o urtarsi. Sulle botti formò un passaggio di tavole coperte da terra e da altre materie e fissò parapetti di legno ai lati affinché gli elefanti non avessero a cascare in mare”.

L’apertura del nuovo Tema di Sicilia in Treno dedicato all'attraversamento stabile dello Stretto di Messina trae spunto da un interessantissimo contributo di Giovanni Saccà, socio di SiT.
Nel corso della sua attività professionale, oltre che come persona competente e appassionata all’argomento, Giovanni Saccà ha acquisito e sviluppato specifiche conoscenze su questo tema, che resta tuttora attuale nella sua ampiezza, anche se nel corso degli ultimi anni tale ampiezza si è ridotta, almeno nel settore dell’informazione generalista, ad un unico argomento: il “ponte sullo Stretto”.

Questa linea, mai entrata in funzione, è nota come “Ferrovia Palermo – Camporeale” poiché sedime ed opere d’arte furono realizzate in effetti solo fino alle campagne in prossimità del comune di Camporeale; nel progetto iniziale, sarebbe dovuta arrivare fino a Salaparuta per poi collegarsi alla rete delle complementari sicule innestandosu sulla ferrovia Castelvetrano-Santa Ninfa-Salaparuta-San Carlo-Burgio.

Il progetto iniziale fu realizzato alla fine del XIX secolo, e fu più volte modificato durante gli anni, ridisegnando il tracciato anche a distanza di breve tempo. La linea non entrò mai in funzione nonostante le opere realizzate, ed oggi esiste ancora un dibattito sul fatto se una parte iniziale fu effettivamente armata con i binari o meno.

Il tempo intercorso dall'inizio dei lavori della linea al suo abbandono si può constatare ammirando come siano cambiati gli stili architettonici dei portali delle gallerie, dei viadotti e dei muri. Questo vale anche per i caselli e le stazioni, che sono state realizzate con almeno tre diverse tipologie standard. E' infatti possibile riconoscere Stazioni Principali (le più grandi), Stazioni Secondarie (in prossimità dei centri minori), Fermate, presenti prevalentemente nelle zone rurali. Naturalmente sono anche presenti numerosi Caselli (posti a circa 2 km l’uno dall’altro), in alcuni casi ristrutturati ed adibiti ad abitazioni, in altri totalmente in abbandono e degradati.

L’inizio della nostra pedalata parte dalla Stazione Lolli di Palermo, da cui la linea sarebbe dovuta originare. Seguire il tracciato cittadino è oggi molto difficile, poiché l’espansione della città dagli anni ‘30 del secolo scorso ad oggi ha di fatto cancellato la quasi totalità del sedime: esso risulta adesso in parte utilizzato come strade cittadine o ricade all’interno di proprietà private. Nella galleria fotografica allegata a questo mio articolo ho cercato di raccogliere alcune delle infrastrutture e opere d’arte ancora presenti.

Inoltre nei file allegati e scaricabili, troverete due tracce in GPX (formato Garmin): la traccia della linea originale, e quella del percorso in bicicletta che cerca il più possibile di percorrere il tracciato, ove possibile, o di seguirlo nelle immediate vicinanze dove esso non è più percorribile.

Sicilia in Treno apre una nuova rubrica, grazie al Socio Fondatore Sergio Gargagliano, da anni ciclista esperto in tour a due ruote attraverso ogni angolo di Sicilia. Vi lasciamo alle sue parole:

Negli ultimi tempi, durante le mie pedalate in solitaria lungo le strade secondarie della Sicilia, ho maturato l’idea di voler tentare di ripercorrere, idealmente e, ove possibile, anche materialmente, gli antichi tracciati ferroviari delle ferrovie “secondarie” siciliane, oggi tutti dismessi se non, addirittura, mai entrati in servizio.

Per i meno avvezzi alla terminologia ferroviaria, con la dicitura ferrovie secondarie, si intendeva definire una distinzione dell’infrastruttura in base all’importanza e al volume di traffico: ferrovie principali, con traffico intenso, elevata velocità e colleganti città e paesi di importanza e rilevanza nazionale ed internazionale, e ferrovie secondarie, nate tra la fine dell’800 e gli inizi dello scorso secolo per collegare punti “secondari” del territorio; tali linee, solcate da un traffico spesso (ma non sempre) scarso, furono sviluppate seguendo scelte tecniche volte al risparmio nella costruzione, ciò per favorire la rapida costruzione e ramificazione; ciò voleva dire opere d’arte, gallerie, ponti, etc. ridotti al minimo indispensabile, da qui i tracciati tortuosi e spropositatamente lunghi, velocità commerciali basse, armamenti leggeri. Sempre per ragioni di economia, spesso veniva scelto uno “scartamento” (termine tecnico che indica la larghezza del binario, ovvero la distanza interna tra i due funghi delle rotaie) diverso dallo standard (1435 mm). Per consentire curve a stretto raggio, atte a seguire la naturale conformazione dei territori attraversati evitando cosi la costruzione di costosi ponti e gallerie, veniva spesso preferito lo scartamento cosiddetto ridotto. In Italia ebbe notevole diffusione, lo scartamento ridotto “metrico”. Sia quello “puro” (1000 mm), sia il cosiddetto scartamento metrico “italiano”, curiosamente attestatosi a 950 mm. Leggenda narra che tale scelta, a fine ‘800, venne operata per un errore di interpretazione degli allora tecnici italiani che, rifacendosi alla documentazione proveniente dall’Europa del Nord, dove si stavano già tracciando ferrovie a scartamento metrico standardizzate, equivocarono la distanza di 1000mm ritenendo che essa fosse riferita alla mezzeria del fungo della rotaia e non ai bordi interni… perdendo così 50mm di scartamento! Vero o meno che sia, l’idea dei tecnici italiani di allora, intenti a scervellarsi per capire disegni tecnici scritti in tedesco e fatti a china per capire dove cadesse esattamente la linea passata a mano, mi ha sempre fatto sorridere.